Per Monti la fine del tunnel è oggi più vicina/La lunga lista dei sacrifici ha creato le basi per una recessione Se il liberismo puro non basta di Roberto Cangiamila Il presidente del Consiglio Monti ha affermato che la fine del tunnel è vicina. Una dichiarazione che dovrebbe restituire fiducia agli investitori, rappresentare una speranza per i molti imprenditori che auspicano un ritorno ai consumi, essere una iniezione di fiducia per chi oggi non riesce ad immaginare un futuro. Un messaggio positivo che arriva in un momento di grande difficoltà per un sistema Paese che, nonostante le innumerevoli misure di contenimento della spesa improduttiva, l’aumento della pressione fiscale e dell’IVA, non riesce a dare un taglio al suo debito e continua a subire gli attacchi speculativi dei mercati. Monti, da esperto economista qual è, sa bene che se continua la fase negativa dell’economia, che vede maggiori entrate per il fisco e un minore gettito IVA, imprese che perdono profitti e contrazione dell’occupazione, nonostante le misure incentivanti per facilitare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, le spese possono solo aumentare, perché dovranno essere attivati provvedimenti a sostegno dell’economia. La lunga lista dei sacrifici imposti ai cittadini, che finora non ha prodotto i risultati sperati, ha creato i presupposti per una lunga e dura recessione alla quale, invece, va trovata una risposta e contrapposta rapidamente una serie di misure per la crescita. Fra le disposizioni introdotte dal governo Monti c’è l’aumento delle aliquote IVA. Una imposta sul valore aggiunto che si somma alle tassazioni sul reddito già piuttosto cospicue. Un’aliquota che più cresce e più inibisce la capacità di spesa dei cittadini, contrae gli acquisti e non permette allo Stato di fare cassa. Un boomerang per chi deve ottenere una maggiore circolazione di denaro, deve incrementare le transazioni, la spesa e i consumi. Una ingenuità, frutto del genio di un governo di tecnici, che non poteva non sapere quali risultati avrebbe prodotto. Una falla aperta in un sistema di evasione diffusa che non consente la tracciabilità necessaria per effettuare verifiche alla fonte. Un intervento, ancora una volta tampone, che non ha nulla di risolutivo né di originale, mentre l’Italia ha bisogno di una vera grande riforma: la socializzazione di questa imposta, attraverso la rimodulazione del sistema della tassazione IVA. Così come esiste la rete dei terminali elettronici Enalotto e Sisal che consente di effettuare oltre alle giocate per le lotterie nazionali e le scommesse, anche pagamenti di utenze, bolli auto e canone radiotelevisivo, ecc. a controllo centralizzato e immediato, così si potrebbero dotare i dettaglianti di apparecchi simili che superano il vecchio, obsoleto e fallace metodo dei registratori di cassa e degli scontrini fiscali, istituendo un nuovo modo per tracciare le vendite, rilevate direttamente dai POS collegati con una speciale banca dati. L’introduzione di questo meccanismo di controllo comporta l’obbligo dei pagamenti con moneta elettronica senza soglie minime e massime di spesa ma chi volesse effettuare un pagamento in contanti, è tenuto a fornire al rivenditore la tessera personale (sanitaria), senza la quale non potrà essere registrata la transazione. Si giungerebbe, così, alla tracciabilità di tutte le compravendite, di beni e servizi. Questo doppio sistema supererebbe le pregiudiziali poste da coloro che non hanno risorse sufficienti a giustificare l’apertura di un conto corrente bancario o postale, darebbe risposta a chi pensa che in un paese a forte incidenza di anziani e con scarsa alfabetizzazione, il pagamento elettronico rappresenterebbe un’imposizione onerosa e una forzatura sulla natura dei soggetti, consentirebbe ai minorenni di effettuare acquisti controllabili. In un sistema economico in cui pochi beni e servizi si trasferiscono dal produttore al consumatore finale in un solo passaggio, e si caricano su un prodotto 3 o 4 calcoli successivi di IVA che determinano solo partite contabili di credito e di debito, per le transazioni intermedie, il mantenimento di questo sistema induce a produrre oneri burocratici che generano evasione. Ad ogni trasferimento il bene materiale o immateriale aumenta la sua base imponibile e scarica sul consumatore finale, che è il solo a pagare questa imposta, un costo non giustificato che incide sulla sua capacità di spesa. Se si eliminasse l’IVA su tutti i passaggi intermedi e la si facesse pagare solo al consumatore finale, si eliminerebbe la burocrazia legata ai versamenti trimestrali o mensili; si controllerebbero, con i sistemi elettronici sperimentati proficuamente in altri settori, le vendite e gli eventuali profitti indebiti, si potrebbero calcolare in maniera inequivocabile i redditi imponibili dei commercianti e dei rivenditori finali di beni e servizi che, oggi, il Governo è costretto a perseguire per mancate dichiarazioni. Si potrebbero incrociare dati fiscali contrastando più efficacemente l’evasione, lo Stato potrebbe destinare risorse umane e finanziarie ad altri settori, i cittadini avrebbero la certezza di una reale inversione di tendenza. In Italia, per lungo tempo la responsabilità della politica è stata quella di limitarsi a trovare risposte, mai risolutive, a problemi che ne hanno generati altri più complessi e di non aver mai immaginato e auspicato interventi strutturali. Oggi, se vogliamo provare a darci un’opportunità siamo di fronte all’esigenza di osare! Non è più il tempo di continuare ad intervenire settorialmente e in modo superficiale. La formula "laissez faire, laissez passer, le monde va de lui même" che non scontenta nessuno, ha prodotto solo danni. Non è un atteggiamento con il quale si dovrebbe cimentare la politica che, invece, dovrebbe ritrovare la sua vera essenza nobile e tornare ad occuparsi del governo del Paese. |